Fabio Mazzari: "il film che stiamo girando, lo dedico a mia madre"

Il noto attore di casa Mediaset, si racconta a Vite in Matrioska. Come ben saprete, la sottoscritta ama andare oltre il personaggio, ovvero alla persona. E come se fossimo a tu per tu, ma divisi da mille chilometri, ospito Fabio su di una comoda poltrona, magari verde muschio e gli offro un buon thè. Posso chiudere anche gli occhi, mentre immagino la scena, visto che conosco a menadito il posto di ciascun tasto a pc. Cautamente, sfioreremo anche i tasti della sua vita, fuori e dentro il set. Sfoglio la prima pagina bianca del blocco, sorseggio la bevanda ancora calda e procedo: che l'intervista abbia inizio. 

 



1)    Chi è Fabio Mazzari? Hai appena soffiato 76 candeline. Come ti senti? Raccontaci un po'di te.


"Cari amici, questo è un tempo della vita in cui, camminando, si è inevitabilmente  portati a voltare la testa e guardare all’indietro. A rischio magari di andare a sbattere, ma il richiamo è forte, più forte di tutto. Come diceva Vivian Lamarque “se sul treno ti siedi al contrario, vedi meno la vita che viene, vedi meglio la vita che va. La vita che va".
Ecco, la mia è come se si fosse fermata un anno fa, quando è mancata mia moglie Silvia. Ho già avuto occasione di parlarne. Dopo una vita passata insieme, condividendo tutto, fatiche e dolcezze, lacrime e sorrisi, cadute e successi, è come se, di colpo, una parte di me fosse stata amputata, rapita. Mi hanno tolto, come si diceva ai miei tempi, l’altra metà del cielo. Il dolore più grande che potessi provare e immaginare. E il vuoto che lei ha lasciato dentro di me, ancora risuona cupo e sordo, nel silenzio freddo.
Per cui, amici, come ho già detto, io oggi sono soprattutto questo. Un uomo che cerca di trovare la forza, per riprendere quello che resta del proprio cammino. E di affrontare le poche sfide che ancora restano, per chiudere la partita. Game over.
Vorrei dire da solo, ma non è così. Sono accompagnato dal sorriso e dalla tenerezza di Silvia, che è accanto a me in ogni istante".

2) Regista, doppiatore, attore. Per anni, hai vestito i panni di Alfio Gherardi, nella soap opera 'Vivere'. Quanto c'era di Fabio in quel personaggio? Cosa ricordi di quel ruolo che ti ha reso celebre?


"A questa domanda ho già avuto modo di rispondere, ma volentieri lo faccio anche in questa occasione. Ebbene io e Alfio avevamo in comune alcune cose : la lealtà, il rispetto per il prossimo, l’attaccamento al dovere, alla famiglia, anche una certa stanchezza per le tante battaglie combattute.
E, se vogliamo, anche una certa passionalità. Perché no?
L’ unica cosa che non credo di essere riuscito a trasmettergli è l’ ironia, il gioco, le battute. 

Io sono (sarei), molto più ludico e scanzonato di Alfio, che invece era quasi sempre immusonito. D’altronde anche a lui sarebbe piaciuto scherzare (qua e là lo si è visto...ad esempio con l’amico Bonelli), ma come faceva, pover’uomo, con quella famiglia, quel figlio, tutti quei nemici e quei lutti? Scherzi a parte, io e Alfio eravamo molto simili. Figli tutti e due di una generazione abituata a lottare.
Del personaggio di Alfio ho molti ricordi (dieci anni in onda!). Uno in particolare riguarda le lettere cartacee, che quasi tutti noi protagonisti ricevevamo i primi anni.
Ecco, molte (allora) ragazzine scrivevano dicendomi che io (Alfio) ero il padre che loro avrebbero sempre sognato di avere. Una cosa che mi faceva molto piacere, mi inorgogliva e anche un po’ mi commuoveva.
Ricordo anche che, essendo il mio personaggio (almeno i primi anni) ricco e potente, ricevevo lettere di persone (fra cui dei carcerati) che mi chiedevano del denaro, indentificandomi totalmente con Alfio. Oppure per strada mi fermavano, chiedendomi se ero interessato all’acquisto di ville e terreni. E io dovevo affannarmi a dimostrare che il mio IBAN non era proprio lo stesso di Alfio Gherardi".



    3) Foto, autografi, notorietà. Cosa si prova quando si viene fermati per strada? C'è qualcosa in particolare che conservi, tra i vari incontri? Una frase, una persona.


"Indubbiamente la popolarità, nella misura poi che poteva darti VIVERE in quegli anni, era un fattore di sorpresa e gratificazione. Anche se io, quando cominciò quest’avventura, avevo ormai 53 anni e una certa dose di disincanto. Ma la visibilità e la notorietà, oltre a costringerti di colpo a stare attento alla tua immagine e a come ti comporti, fa certamente piacere.
C’è un episodio che forse chiarisce meglio qual’era il successo di VIVERE e il grado di empatia che induceva negli spettatori.  
Risale al periodo in cui andava in onda ll rapimento di Alfio Gherardi, durante il quale il mio personaggio, per vari motivi, soffriva le pene dell’inferno ed era spesso sul punto di morire .
Un pomeriggio, nel mio spazio teatrale a Milano, stavo facendo le prove di uno spettacolo di cui firmavo la regia. Bussarono.
Si affacciò mia moglie Silvia, dicendomi che c’era una visita per me. Entrò un distinto signore sulla cinquantina, tenendo per mano due bambini, un maschietto e una femminuccia.
“ Mi scusi se la disturbo..” “Prego – risposi- Si accomodi “ “ No, no, grazie, andiamo via subito “ Poi, rivolto ai bambini “ Ecco, bambini, vedete? Alfio Gherardi è vivo e sta bene". I bambini fecero un mesto sorriso e annuirono. “ Grazie, dottor Gherardi, scusi se l’abbiamo disturbata “
E così dicendo, prese i bambini e si allontanò educatamente. Io ero ancora interdetto e non seppi fare altro che salutarli con la manina, rispondendo “ Di niente “.
Ecco, questo era VIVERE. E il legame che riusciva a creare".

    4) Grazie ai social, ho appreso dell'uscita del tuo prossimo film. Cosa puoi svelarci a riguardo? Pensa ad una chicca che farebbe piacere leggere.

"E’ un film che verrà girato a fine estate da Luca Guardabascio, dal titolo “ Urlamò “.
 Racconta una storia, ambientata in un periodo di grande crisi sociale ed economica, molto simile a quello che stiamo vivendo. E’ una vicenda un po' ancestrale e magica, con degli aspetti vagamente horror. Il mio personaggio è quello di un sacerdote coraggioso, anche un po’ visionario, che opera in una periferia estrema, difficile, pasoliniana.  
Penso a mia madre, che aveva un grande talento istrionico ( chissà..) ed era anche molto religiosa. Ebbene, un giorno mi disse, con molto pudore, che il suo più grande sogno sarebbe stato quello di vedermi sacerdote. Io sorrisi e le dissi che invece avevo intenzione di dedicarmi al teatro. E così feci, volevo fare il regista.
Ecco, forse oggi lei sarebbe contenta di vedermi in quei panni. Dedico questo film e questo mio personaggio alla memoria mia madre".

    5) Tra i vari -post- di lavoro, in punta di piedi, provo a chiederti del tuo amore più grande: Silvia. I vostri scatti insieme, fanno pensare ad un amore raro, di quelli che fanno parlare le emozioni. Come si sopravvive a tanto dolore?

"Cara amica, credo, in qualche modo, di aver già risposto all’inizio. Forse non è necessario aggiungere altro.
La mia vita è stata tutta condivisa con Silvia e tutta dedicata a lei. Lei mi dato forza, solarità, calore, ottimismo, che, per un carattere un po’ malinconico come il mio, sono la vita, semplicemente. Ogni nuovo giorno, con Silvia accanto, era un meraviglioso regalo.
E oggi cerco di rinnovare questo dono, ogni sera e ogni mattina, parlando con la sua immagine, che porto con me ovunque io vada".

    6) Se avessi la macchina del tempo, cosa cambieresti?


"Questa è domanda bella e un po’ imbarazzante. Mi piace molto e, al tempo stesso, mi turba.
Sono molte le cose che non ho fatto e che farei, e molte quelle che eviterei.
Vorrei imparare l’inglese negli anni giusti della scolarità, e non come tento di fare oggi molto faticosamente. Vorrei aver viaggiato, come aveva senso allora, scoprendo realtà e popoli. Non come oggi, in cui il viaggio è nient’altro che un passare dagli Zara e Benetton di Parigi, a quelli di New York, Mosca, Dubai. Mi sarebbe piaciuto praticare altri sport oltre al calcio ( dove peraltro non ero male..). Avrei voluto imparare il bricolage ( che invece odio..), etc.
Quello che tanto vorrei non aver fatto (e i sensi di colpa ancora mi perseguitano..) è trascurare le ragazze che mi hanno amato ( prima di incontrare mia moglie..) e che io ho abbandonato, sparendo all’improvviso, senza dare più notizie di me. Un comportamento che oggi mi chiedo come io abbia potuto mai averlo. Maschilista e fifone. Erano anni così".

    7) Da professionista, avrai a cuore la situazione attuale, relativa ai teatri chiusi e alle realtà di cui si parla. Quale messaggio vorresti rivolgere ai nostri emergenti? Quale caratteristica pensi sia indispensabile per fare carriera nel mondo dello spettacolo?


"Agli emergenti vorrei dire di avere fiducia, perché la gente in questo anno di privazioni e sottrazioni, si è finalmente resa conto che lo spettacolo ( cinema, teatro, tv..) non è solo una dimensione del tempo libero, un passatempo per perdigiorno, ma è una funzione VITALE per l’esistenza, la conoscenza e la crescita di ciascuno di noi. Quindi non mollate, tenete duro, insistete, sarete ripagati.
Il consiglio che, cinicamente, sarei tentato di dare è quello di NON studiare, di cercare di mostrarsi e basta, di sfruttare la Rete collezionando like e sciocchezze, di diventare influencer, ricorrendo alle scemenze più volgari, di partecipare a un reality qualsiasi ( anticamera di molte carriere..), di apparire, apparire, apparire, non importa come, ma apparire.
Invece dico STUDIATE, STUDIATE! Leggete testi, misuratevi con essi, analizzateli, approfondite, cercare di migliorare l’uso della voce (che non è la dizione..), confrontatevi con i grandi attori, imparate da loro, tentate di andare davanti a un pubblico, fate fatica, sforzatevi, CRESCETE.
Sì, lo so, alcune/i (tante/i) nel frattempo avranno trovato delle scorciatoie, magari avranno ottenuto il successo che anche voi (comprensibilmente) cercate. Ma la loro “professionalità" è costruita sulla sabbia, sull’acqua e di fronte a voi si sentiranno sempre fragili, deboli. Perchè voi sarete sempre più forti".

Nell'ultima domanda, sono solita lasciare campo libero all'intervistato e Fabio ha aggiunto altre dichiarazioni alquanto interessanti.

"Care amiche e amici, spero con le mie chiacchiere di avervi spinto ancora di più verso il mondo dello spettacolo e di avervi mostrato che è fatto di soddisfazioni brevi, veloci di fatiche lunghe e tenaci ( ma sono sicuro che già lo sapete ). A questo proposito, il mio augurio è che ( magari dopo questo interminabile lockdown ) il teatro e il cinema si possano insegnare nelle scuole, anche quelle primarie. E che si cominci a far conoscere e apprezzare la musica classica. Ma anche del buon rock di livello. E, finalmente, il jazz, considerato un genere difficile, e che invece è la base di tanta, tantissima musica".
 



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