Un viaggio a porte chiuse, all’interno dei rinomati acronimi.
Alle porte di ottobre, l’aria che si respira da qui dentro, non cambia. Non cambia semplicemente perché i reparti protetti, non hanno la possibilità di tenere le porte aperte quando lo desiderano, anche se l’entourage delle pulizie, fa il suo egregio lavoro quotidiano e gli olfatti apprezzano. Ma non si intende certo l’aria fresca di primavera, bensì il clima respirato dai ricoverati.
Nelle realtà di SPDC, acronimo di Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, la libertà è dovutamente limitata: quando un paziente fa il suo ingresso, sa che durante tutta la durata di degenza, ci saranno regole ben definite. E’ un momento delicato, acuto, che richiede la massima discrezione da parte del personale ed una certa quiete da…respirare. Anche un ‘come stai?’ può far risuonare alla mente un pensiero più o meno bello. Ciò che si vocalizza, non sai mai quale corda può toccare: se chiedi cose specifiche, imparerai solo con l’esperienza, a rimodularti. ‘Quando vuoi, io sono qui’, e’ probabilmente l’intro migliore.
La musica non c’è, ma solo nelle cuffie personali; in salone vi è un tv che si accende in orari programmati, ma l’aspetto che accomuna le SPDC, è senz’altro la presenza smisurata di fogli bianchi, stampe da colorare, matite che aspettano mani per lasciare traccia. Sì perché in SPDC, si entra con passo felpato. Ci si prende cura di se stessi, grazie a chi svolge giorno dopo giorno, il proprio mestiere. Con i cosiddetti ‘esperti della mente’.
Ci sono ragazzi giovani, come Margherita che l’altro ieri, ha fatto in tempo a sfiorare la sedia per consumare il pranzo, quando ha cominciato a piangere rintanandosi nella ‘sua’ stanza. Chissà quale pensiero l’avrà sopraffatta. Dal suo viso traspare insicurezza, come quando confida ‘spero di non avere il tono della voce da uomo, dato che ascolto canzoni cantate da uomini’.
Oppure c’è Enea, un altro ventenne come Margherita che soffre di un disturbo chiamato DOC (che interessa le ossessioni compulsive).
Giorgia si arrabbia perché il giudice ha stabilito un percorso diverso per lei e quindi ora, tra un imprecazione e l’altra, chiede una terapia al bisogno. Nell’altra stanza, un uomo viene contenuto.
Ognuno con le proprie storie e nessuno che può conoscerle mai così bene. Perché dentro ci sono emozioni, paure, sentimenti.
E ancora…Serena, una minore dimessa dalla comunità terapeutica nel mese di marzo ma che dovrà riprendere questo percorso presso un’altra struttura al fine di migliorare la sua qualità di vita. Con una diagnosi di Disturbo di Personalità, detto Borderline, è stato molto difficile inizialmente accettarlo e saperlo trattare.
Questi soggetti spesso sono contrari ai no, manifestano un vero e proprio disagio nell’accettazione, presentano atteggiamenti impulsivi e autolesionistici, come ad esempio aver rotto il vetro del bagno per la comunicazione d’equipe che riguardava la scelta comunitaria.
Alle spalle c’è una madre che ogni notte le sta accanto, nel letto vicino al suo, per manifestarle tutto l’amore come quando lei era una bambina e dovette subire violenze e abusi. ‘Sotto ai 5 anni, i traumi si tende a dimenticarli, per poi riaffiorarli durante l’adolescenza’, così la psichiatra spiegava come questi struggenti ricordi di Serena, l’abbiano sconvolta durante i suoi incubi. Risvegli amari, ingiusti, per cui non esiste sbianchetto che possa eliminarli per sempre.
E la nostra memoria ricorda, ha in qualche modo registrato gli avvenimenti di noi bambini, quando l’infanzia dovrebbe essere fatta di arcobaleni disegnati e coccole a profusione. Ma i traumi fanno ritorno e bussano, facendo male. ‘Se almeno non abbiano scelto di avere questo disturbo, possiamo scegliere però la terapia, fondamentale per stare bene’. Una frase pronunciata con dolcezza da un infermiere che con l’accendino ha acceso almeno una decina di sigarette, ai fumatori che guardano con attenzione ‘l’ora giusta’.
Qualche caffè alla macchinetta, il rito del cellulare, che spesso diventa strumento di comprensione o litigio in base a chi risponde all’altro capo del telefono. Non è insolito sentire urla o assistere a gesti eclatanti come la rottura di un orologio da parete da parte di un uomo che in seguito, approfittando della disattivazione del sistema di allarme, ha proseguito la sua fuga. La mente, e’ qualcosa di tanto affascinante quanto difficile da studiare.
Quando riferisco del mio impiego all’interno di queste realtà, noto come le pupille si sgranano in segno di interesse, mentre l’esclamazione piu diffusa è ‘no, io non ce la farei mai, impazzirei a mia volta’. Eppure non sono contagiosi: io provo a respirare la loro stessa aria, ma niente, non mi succede niente. Mi mescolo tra loro, ma a parte qualche starnuto, non guadagno disturbi. Non è l’aria, ma il come gestisco le situazioni. Non sono i colleghi, ma sono io a fare la differenza su un qualsiasi posto di lavoro. I pazienti ti osservano, come chi abita nei CRA o presenzia nei centri diurni. Osservano chi si prende cura di loro e ne studiano ciascuna sfumatura. Qui comprendi come nonostante le avversità della vita, l’istinto di prendersi cura di se, prevalga sempre. Vogliono sapere, chiedono, anche col rischio di attese lunghe e impegnative. Fuori c’è un praticello, ma non lo si può toccare, la brina del mattino e della sera, la vedi dalle finestre e con la mente cerchi di ricordare com’era attraversarla in macchina o in qualsiasi altro modo, fuorché questo.
Non sono le ore inquantificabili con i malati di mente, a esporci maggiormente a questa piuttosto che a quella patologia. Siamo noi e ancora noi stessi a scegliere con chi e dove vogliamo essere per ESSERE. La famosa centralità di una persona, si acquisisce passo dopo passo con consapevolezza ed è lì che si diventa invincibili.
E’ quando ignori l’altro per un atteggiamento negativo che ti rendi conto che parlarci è perdita di tempo, e’ quando finalmente riemergi dall’onda che capisci che se non ti fossi sganciata dalla rete, la stessa ti avrebbe fatta affogare. Noi conduciamo il veicolo su cui viaggiamo e le nostre energie assecondano i nostri desideri, avverandoli.
Sono immensamente grata di trovarmi qui, specie perché il mio cammino si sta arricchendo di cose belle che profumano di sapere.
E quando pensi di mollare,
ricordati il motivo per cui hai iniziato!
A presto,
Viviana 🌹
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