Ti racconto la mia storia, si: ma dietro le sbarre.
Ed è in una mattinata di fine estate, che scelgo di catturare la vostra attenzione, su un argomento che sta a cuore a molti, ma non a tutti. Senza fronzoli, ma quasi bisbigliando, eccovi il titolo: la vita in carcere. Di quelle cose, che vanno sussurrate se ti trovi al bar, o dal parrucchiere. Di quelle occhiate con cui fulmini il tuo interlocutore, mentre passa il tizio che ‘è stato più dentro che fuori’. Di quei morsi alla lingua, se per sbaglio ti stava uscendo pure il nome ed il cognome. Eh si, perché dietro a quelle storie che passano al telegiornale, per cui sgrani gli occhi allo sfogliare di un quotidiano, portano con sé una carta d’identità. Prima era pulita, come il viso di un bambino, poi si è sporcata, ma non di caffè, di reati, pendenze, illegalità. Ma ciò che ti etichetta ed infierisce maggiormente, è il chiacchiericcio del paese, come dicevo pocanzi. Loro, che poi in fondo siamo noi, impugnano il timbro, come il giudice impugna il martello ed emette la sentenza...