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Un viaggio a porte chiuse, all’interno dei rinomati acronimi.

Alle porte di ottobre, l’aria che si respira da qui dentro, non cambia. Non cambia semplicemente perché i reparti protetti, non hanno la possibilità di tenere le porte aperte quando lo desiderano, anche se l’entourage delle pulizie, fa il suo egregio lavoro quotidiano e gli olfatti apprezzano. Ma non si intende certo l’aria fresca di primavera, bensì il clima respirato dai ricoverati.   Nelle realtà di SPDC, acronimo di Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, la libertà è dovutamente limitata: quando un paziente fa il suo ingresso, sa che durante tutta la durata di degenza, ci saranno regole ben definite. E’ un momento delicato, acuto, che richiede la massima discrezione da parte del personale ed una certa quiete da…respirare. Anche un ‘come stai?’ può far risuonare alla mente un pensiero più o meno bello. Ciò che si vocalizza, non sai mai quale corda può toccare: se chiedi cose specifiche, imparerai solo con l’esperienza, a rimodularti. ‘Quando vuoi, io sono qui’, e’ probabilmente ...

Ti racconto la mia storia, si: ma dietro le sbarre.

Ed è in una mattinata di fine estate, che scelgo di catturare la vostra attenzione, su un argomento che sta a cuore a molti, ma non a tutti. Senza fronzoli, ma quasi bisbigliando, eccovi il titolo: la vita in carcere. Di quelle cose, che vanno sussurrate se ti trovi al bar, o dal parrucchiere. Di quelle occhiate con cui fulmini il tuo interlocutore, mentre passa il tizio che ‘è stato più dentro che fuori’. Di quei morsi alla lingua, se per sbaglio ti stava uscendo pure il nome ed il cognome.  Eh si, perché dietro a quelle storie che passano al telegiornale, per cui sgrani gli occhi allo sfogliare di un quotidiano, portano con sé una carta d’identità. Prima era pulita, come il viso di un bambino, poi si è sporcata, ma non di caffè, di reati, pendenze, illegalità.  Ma ciò che ti etichetta ed infierisce maggiormente, è il chiacchiericcio del paese, come dicevo pocanzi. Loro, che poi in fondo siamo noi, impugnano il timbro, come il giudice impugna il martello ed emette la sentenza...

Se gli stati d’animo fossero quattro, come le stagioni dell’anno…

Perché appendere al testo, un titolone così ricercato? In realtà, la risposta è semplice: coloravo un ‘mandala’, quando mi sono resa conto che i pastelli a mia disposizione, erano solo quattro. Non che non ce ne fossero: piuttosto, mancavano di punta ben fatta.   Alice, neanche ventenne, con lo chignon a ‘mo di ballerina e la maglia di una squadra sportiva indosso, mi propone il suo bellissimo album, ma per ora la ringrazio scegliendo di terminare la stampa di ieri, iniziata in salone.  E allora ecco che, come piace solitamente fare a me, ho cominciato a collegare il numero a date, episodi, cose legate al numero quattro. E sono uscite le stagioni, o anche le pizze, perché no! O come le settimane, esatte, in cui lavoro per conto di una cooperativa che si è accreditata l’appalto in ospedale. Bene, ecco scartata la prima sorpresa: il mio nuovo impiego, grazie alla qualifica in qualità di ausiliario socio assistenziale, versa in un ramo su cui la vita delle persone affonda le prop...