Ti racconto la mia storia, si: ma dietro le sbarre.
Ed è in una mattinata di fine estate, che scelgo di catturare la vostra attenzione, su un argomento che sta a cuore a molti, ma non a tutti. Senza fronzoli, ma quasi bisbigliando, eccovi il titolo: la vita in carcere. Di quelle cose, che vanno sussurrate se ti trovi al bar, o dal parrucchiere. Di quelle occhiate con cui fulmini il tuo interlocutore, mentre passa il tizio che ‘è stato più dentro che fuori’. Di quei morsi alla lingua, se per sbaglio ti stava uscendo pure il nome ed il cognome.
Eh si, perché dietro a quelle storie che passano al telegiornale, per cui sgrani gli occhi allo sfogliare di un quotidiano, portano con sé una carta d’identità. Prima era pulita, come il viso di un bambino, poi si è sporcata, ma non di caffè, di reati, pendenze, illegalità.
Ma ciò che ti etichetta ed infierisce maggiormente, è il chiacchiericcio del paese, come dicevo pocanzi. Loro, che poi in fondo siamo noi, impugnano il timbro, come il giudice impugna il martello ed emette la sentenza. Ecco, il popolo fa esattamente così, tra le mura della città. Mura che per oltre cinque lunghi anni, il protagonista di oggi, ha intravisto da una cella.
Vi racconto la storia di Simone, il cui nome non è certo fantasia, bensì una tormentata realtà. Un passato nella droga, il suo, nel dannato mondo dell’illegalità. Un rifugio sicuro, nato da un’infanzia difficile, dai colori b/n, come le sbarre che l’hanno visto rinchiuso.
‘Tieni, questo è per te, Viviana’.
Simone mi porge un quadernino, ben conservato, a quadretti grandi. Ci vedo raffigurato un motociclista e già mi lascio dondolare dalla fantasia.
Lo guardo e gli sorrido, in segno di cordialità. Lui ricambia, con le sfere degli occhi intrisi di storia.
Non appena arrivo in reparto, lo sfoglio incuriosita: nel tondo in cui generalmente si scrive il nome della materia e la classe, si leggono in ordine ‘Verità, Amore, Tristezza’.
Scorrendo più in basso: ‘Tutto ciò che è scritto, è vero e puramente da me’. Simone aveva lasciato traccia di quegli anni in cui l’adolescenza e la spensieratezza, erano state calpestate da processi, latitanza e depressione.
Su quest’ultima, Simone la descrive con assoluta profondità, come l’avverte: ‘lei trova il modo di insediarsi nel tuo cervello’. Per privacy e rispetto, ve ne riporto qualche passaggio.
E fa male, un dolore sordo che non trova riparo neanche nelle visite in cui la sorella e pochi altri intimi, si recano in carcere. Ma c’è una figura costante, non umana, ma astratta, che non abbandona mai Simone: la musica, unita alla preghiera, così univoca e capace di accogliere il giovane specie nei momenti in cui la disperazione sovrasta le sue giornate.
Frequentava scuola, si recava lì al mattino e portava in cella il sapere al pomeriggio, giorno dopo giorno, con la differenza che la sua cameretta ora era una cella condivisa. Nonostante ci fossero molteplici attività, la vita dietro le sbarre non si può mai definire vita: la consapevolezza di non avere più in mano la tua libertà, può davvero giocare brutti scherzi.
E’ in quei momenti in cui spaccheresti il mondo, che devi trovare il tuo equilibrio, una tua dimensione, ridimensionata.
Tra le pagine, si respira tutta l’ansia ed il dispiacere e ancora, il pentimento, il desiderio veder crescere chi ama, la speranza a breve termine, di una comunità che lo avrebbe accolto, ridandogli in mano dignità e considerazione, il pensiero rivolto al fratello Pietro che lo veglia da lassù.
Mi piace pensarlo accanto a lui, data anche la straordinaria somiglianza. Credo che quando finalmente Simone prendesse sonno, la mano di Pietro, si posava sul suo viso, per coccolarlo fraternamente, perché le carezze tra fratelli sono speciali ed eterne. Non oso immaginare, quante volte ha dovuto vestire i panni del duro, quando invece avrebbe solo voluto piangere, fumarsi una sigaretta in santa pace e non avere discussioni per almeno mezza giornata.
Una frustrazione pazzesca, dettata dalle leggi del carcere, in cui il tempo è solo un numero, perché la gestione dello stesso è in mano ad altri.
A distanza di anni, Simone ora questo tempo se lo può gestire: vive solo ma ha una ragazza con cui fa progetti in grande, come il suo cuore. Tra qualche mese, compirà 33 anni e deducete da voi che ha tutta la vita davanti! Con la droga non ha più niente a che fare, sa bene che è stata una parentesi articolata e che oltre a compiere danni, non fa. Non lenisce il dolore, lo amplifica e ti causa anche malattie importanti. Il tempo della sofferenza, si è fermato al bivio tra ‘nuova e vecchia vita’.
E lui ora questa vita, la vuole vivere con l’acceleratore abbassato.
Quando lo si incontra, lui gioisce.
Gioisce perché è libero e la libertà non ha prezzo.
A presto, Viviana 🌷
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