Noi due sotto un arco e tu in un baleno
Cari lettori, l’autrice ora vi farà una confidenza: il titolo che avete letto pocanzi, l’avevo tanto pensato quanto il definitivo (A bordo di un arcobaleno). Ero incerta. Io e Fabry, ci siamo creati il nostro nido, proprio come fanno i “piccioncini” e l’arco mi dava l’impressione di protezione, accoglienza. Il baleno, invece, è riferito a Lucrezia: lei è stata concepita fin dai nostri pensieri.
Di seguito, il mio testo narrato in corso d’opera: booktrailer edito Cavinato International, realizzato grazie al mio sarto artistico
che porta il nome di Fabrizio Gregori.
Tanti sono cinici rispetto alle fiabe che possono concretizzarsi nella vita di coppia, però vi garantisco che esistono. E’ la perfezione che non c’è. Lucrezia è la prova vivente della meraviglia che porta amore e luce in un momento cupo, colei che aggiusta gli umori: da sempre i bimbi (e lo vediamo anche nei cartoni animati), sono la parte buona e genuina. Loro sono quelli che “possono tutto”, anche frantumare un cuore d’acciaio e la piccola protagonista, conquista con la sua spontaneità. Una bacchetta magica al posto del biberon e l’incantesimo è fatto. Senza saperlo, porta il vero nome di Cenerentola ed io l’ho scoperto per puro caso qualche mese fa, mentre le leggevo la celebre fiaba targata Walt Disney. Una coincidenza destinata a ripresentarsi durante il nostro viaggio di nozze, in cui eravamo già in tre: tra tutti i resort dove potevamo capitare, il fato ci accomodava accanto alla scalinata dove la donzella perse la sua scarpetta di cristallo. “No, vi prego, aspettate! Non so neanche il vostro nome. Quando potrò rivedervi?”. Il mio principe, era differente e decisamente moderno: mi inviò la richiesta d’amicizia su Facebook, dove un “conferma” o “rifiuta” sono capaci a cambiarti il destino, alle volte. Il nostro è stato clemente: ha come registrato i rispettivi gusti e caratteri, prendendo nota accuratamente, facendoli defluire grazie a una rete internet. Me lo immagino così, come l’algoritmo perfetto di Stranamore, ma virtuale.
E giusto un paio d’anni prima, mi ero disconnessa da quel mondo d’apparenza, per rifarmi in uno vero, d’appartenenza. Intervistare nomi illustri, non faceva altro che alimentare in me il desiderio di porre fine a quell’ambiente, che oltre al superfluo, non aveva. Ripresi in mano carta e penna e ritornai in quello credibile, fatto di storie e persone comuni e soprattutto di gran lavoratori. Col senno di poi, tenterei ugualmente, poiché non si vive di rimpianti, ma di esperienze. Si passa un sacco di tempo a chiedersi come ci si possa sentire realizzati o a domandarsi cosa manchi nella propria esistenza. Io, fino al 10 novembre 2019, non seppi davvero cosa fosse e il giorno dopo fu più chiaro: sentii il suo cuore pulsare nel mio corpo e conobbi la vera felicità. Certo, Fabrizio ha iniziato a scrivere un nuovo capitolo e come scoprirete nel mio secondo figlio di carta, è la persona a cui mi sono ispirata. Quando mi chiedono “ma come hai trovato il tempo, la forza e le energie?”, io dico che “un libro lo leggi prima interiormente, costruendolo col proprio vissuto”, come nel mio caso. L’idea, nel passato, mi sfavillò non poche volte, ma ahimè,… sarebbe saltato fuori un guaio.
Non avrei voluto infondere quel terrore, misto a tristezza, al mio lettore. Mi ci sarei messa davanti come scudo, pur di proteggerlo da quella triste storia e, apprendere che apparteneva a qualcuno, l’avrebbe tormentato. Anni con le valigie in mano, traslochi di famiglia, in famiglia affidataria e poi la comunità. Una villa che ospitava una decina di adolescenti e nel giorno in cui mi presentai, insieme all’assistente, non capirono chi fosse l’utente. “Mi raccomando, Viviana ha le sue risorse e i suoi progetti da portare a compimento”, chiarivano in primis. Sì, perché io non c’entravo nulla con quei ragazzi allo sbando, una compagna di letto che commetteva furti a ciel sereno, un’altra che piangeva per il distacco dai suoi. Io invece l’avevo richiesto: per anni ho subito le cose più indegne, ma grazie alla cara nonna materna, percorrevo i miei sogni anche quando il treno cambiava itinerario. Io c’ero: Logos mi diede la possibilità di svolgere uno stage presso la sua redazione e a distanza di dieci anni, gli rivolgo l’ennesimo “grazie”. Vittorio, il capo redattore ospite anche alla mia cerimonia di nozze, ogni volta mi dice che “ce l’avrei fatta anche senza il suo contributo”. Ma io non credo: la scrittura libera, è stata la mia salvezza. Avrei potuto gettarmi nella droga, in qualche giro losco, o di chissà che delinquenza, invece io prediligevo la strada dell’amore, del perdono, della vocazione giornalistica. Com’era e com’è bello sentirsi utili: ricordo ancora quando otto anni fa, riuscii a trovare una sistemazione decorosa ad una signora finita a mendicare fuori l’ospedale. Il mio viaggio in aereo, seduta accanto all’allora primo cittadino di Ossona, per raggiungere il Senato, a soli 19 anni. Voi direte, beh che male c’è? Tutto nella norma, o quasi, se non fosse che non avevo neanche i soldi per pagarmi quel biglietto e ci pensò il Sindaco, a cui importava il mio lavoro.
Nel 2012, un educatore mi presentò ad una proloco locale, poiché cercavano una responsabile dell’opuscolo cittadino. A seguito di svariati incontri, la mia giovane faccia li rappresentava al timone. Il mio cuore gioiva, ma la mente non del tutto: continuavo a ricevere le più pesanti delle umiliazioni. E quando l’insulto arriva da un familiare stretto, fa male. Dovetti anche arrangiarmi con l’auto in panne in autostrada. Se mi giro, non so come sia riuscita a sostenere quel peso e allora riconduco il mio sguardo ai famosi sogni che non altro che bisogni al quadrato. Stavo crescendo grazie al supporto dei miei intervistati, delle persone che incontravo sul mio percorso e grazie a qualcuno che ha sorvegliato per me, non sono mai incappata in qualche grana. La testa è sempre stata fissa sulle spalle e spesso mi sentivo nei panni di Matilda in “Matilda sei mitica”. Lei parlava e nessuno l’ascoltava, lei sognava e suo padre la scoraggiava. Per non parlare della madre, una casalinga mantenuta che non aveva mai accolto l’arrivo della sua piccolina. La mia, fuggiva pur di non restare qui e ora comprendo il perché di quei gesti istintivi. Quando partiva, dal treno mi diceva “non piangere, ti voglio bene” e io le rispondevo “allora perché te ne vai da me?”. Inseguiva l’ennesima delusione amorosa ed io nel frattempo diventavo grande, mi spuntavano i denti, si allungavano i capelli, chiamavo mia nonna “mamma” e osservavo. Quanto mi ci perdevo in quello. Imitavo, mi sapevo conquistare il bene dei professori che ad oggi quando incontro, mi stringono la mano, congratulandosi. Un traguardo poter girare a testa alta per la città che mi ha cresciuta, conscia del mio vissuto.
Incominciai a battermi per la violenza sulle donne, io paladina di giustizia in prima linea. Le mie lacrime mi avevano resa Forte: avevo sopportato l'impossibile, senza genitori accanto e un nonno che diceva "tu dovrai correre più degli altri, vai!". E così feci: allacciai saldamente le mie stringe e non mi fermai più. Un viaggio alla Forrest Gump, ma che gioia.
Oggi racconto la nostra fiaba reale, anche se un giorno (in un romanzo rosa), la protagonista narrerà la mia storia.
…Dicembre 2019
Le foto, l’annuncio in famiglia e la sorpresa ai nostri amici, furono la cornice adatta per aggiungere un posto a tavola, stretti e premurosi nell’accogliere la piccola protagonista. Poi, improvvisamente, tutto si cristallizzò: ognuno nelle proprie case, uno a distanza dall’altro. Una foto all’aperto non era mai abbastanza libera poiché le mascherine rendevano ignoti i sorrisi. La famiglia rimase dietro ad uno schermo, in cui ci si ritrovava per una chiacchierata e gli amici recapitavano pensieri grazie alle Poste.
Ma, nonostante il marasma che ci circondava, io continuavo a sperare: dovevo farlo per quella creatura che giorno dopo giorno, diventava più grande e capace di captare sensazioni.
Lei è stata la mia forza, durante una gestazione che mi ha regalato un disturbo rarissimo, legato ad un eccesso di salivazione. Una lumaca, in pratica. Oltre a noi, sapevo che c’era chi stava peggio: mio padre, il neo nonno disabile e la mia cara nonna materna, che per anni ha vestito i panni di madre a tutti gli effetti. Tanti i “nuovi progenitori” che non hanno potuto dare loro un abbraccio, un saluto di persona: Lucrezia si è circondata dei suoi amici coscritti, le cui madri facevano squadra, anche virtualmente. E allora ecco che nelle prime pagine del mio testo autobiografico, sono presenti i miei pensieri alla George Perec. Emozioni, perplessità,angosce e soprattutto episodi divertenti che hanno caratterizzato il nostro primo e secondo lockdown. Tanti gli spunti di riflessione.
A presto
La nuova Me
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