Se lo scrigno è sottochiave, ma le cose volano fuori come farfalle…


Nella malinconica cornice di oggi, lunedì 20 aprile 2020, butto giù due righe, con la stessa cadenza della pioggerellina che scorcio dalla cameretta di Lucrezia.  A casa con noi c’è anche mio marito, fermo dal lavoro da una settimana, a causa della pandemia che non ha risparmiato nessuno. E’ arrivata e ha preteso di insediarsi nelle vite, in modo subdolo e aggressivo. Ma quel che più conta, ora come ora, mio mantra peraltro di sempre, è “la salute”, colei che ti consente di vivere giorno dopo giorno, di respirare liberamente, anche fra le mura di casa in cui si è costretti (giustamente) a stare e non tramite un tubo conficcato per la sopravvivenza, in qualche sede ospedaliera. Questo è quel che da il senso di benessere attuale, la ricchezza di poter dire “anche oggi, sono qui e sto bene”;  far parte della schiera di quelli sani e non contagiati, quelli che una passeggiata entro i 200 metri, possono concedersela, udendo perfino le ali delle farfalle, il fruscio dell’aria o addirittura, il suono che emettono le api quando posano su di un fiore.  Se solo lo si immagina, il quadro migliora, per un attimo ed eppure prima, nemmeno ci facevamo caso. Cosa che gli obbligati in quarantena, al momento non possono godersela e si lasciano vivere questo essere passati, da un mese, dall’inverno alla primavera, saltando i compleanni in famiglia, le ricorrenze e gli aspetti più semplici della quotidianità. Altra categoria che menziono e stimo profondamente, sono i medici, gli angeli delle corsie, oberati di lavoro ed esposti ad un rischio elevatissimo, che pur di soffocare dal sudore nei loro dignitosi camici, a fine turno, devono persino tenersi alla larga dalle loro famiglie, dall’abitudine che avevano col figlio che al loro arrivo a casa, gli gettava le braccia intorno al collo, mostrandogli l’ultimo disegno fatto, o dalla moglie che l’ha sempre aspettato, anche fino a tardi, per mangiare insieme. Ci pensiamo? Insomma, la pandemia ha travolto tutti, già da prima che si dicesse che si trattava di una “banale influenza”. Quando digito “tutti”, intendo dai più piccini, ai nostri bisnonni, i più esposti che ad oggi al cronista della rete tv di turno, rispondono “beh la mia vita l’ho fatta”, abbozzando un sorriso, gnari, al contrario, di essere il nostro patrimonio, le nostre risorse storiche, la nostra tradizione. Proprio come quest’ultima che viene rispettata, o meglio, osannata da un comune sardo (di cui non ricordo il nome), ad oggi privo di qualsiasi forma di contagio, lieve o pesante che sia. Questo perché vige la sensibilità che si è sposata con l’altruismo e allora ecco che nascono i miracoli, frutto dell’unione tra il sacrifico e il senso di responsabilità. Altrettante missioni di salvataggio virtuale, si leggono su Facebook, ma non si mettono poi tanto in pratica nella vita reale e così si fa la Pasqua col barbeque acceso sui tetti, ci si innervosisce se manca il lievito per fare la pizza, ci si incazza sull’imminiente richiesta di apertura dei parrucchieri (per una buona riuscita di un selfie, al momento “spettinatamente mosso”), o peggio se il vicino è sceso a buttare la pattumiera senza mascherina, forse perché non provvisto, o peggio, l’aveva in quel momento un altro componente della famiglia, cosa molto probabile dato che in parecchi comuni, l’amministrazione ha pensato bene di distribuirne una a nucleo familiare e in altri addirittura, è stato sdoganato l’intero pacchetto! Ma, vi pagano per fare le spie o avete partecipato a un corso accelerato titolato “guardo l’orto del vicino, perché il mio è peggio?” Il paese dei balocchi è niente a confronto! Noi siamo quelli che dobbiamo correre perché abbiamo puntato tutto sul fisico e non ci resta altro, siamo quelli dalla falsa autocertificazione perché dobbiamo andare a prendere le sigarette o ancor più imbarazzante, siamo quelli che il cane non lo abbiamo mai avuto ma, in emergenza, ci siamo attrezzati col peluche pur di simulare la il bisogno di scendere a sgranchire le gambe. Senza scordarci che poco tempo fa, gridavamo sui gruppi di degenza neuropsichiatrica, i famosi “Sei di…”, la difesa del centesimo sul sacchetto bio, lamentando forme di qualsiasi altra natura, sui gruppi di paese, la nuova frontiera per affrontare i problemi. Ma davvero pensate che se ci avesse colpito una critica condizione economica, saremmo qui con online a scaricare le nostre frustrazioni? Gli uomini e le donne di una volta, scendevano in piazza a far valere i propri diritti, o mandavano le lettere tra comuni? Come avrebbero combattuto per le ingiustizie subìte? Forse dentro di noi, lo sappiamo che bussare al comune per la richiesta delle scorte del lievito, ci farebbe arrossire tanto da sprofondare, facendoci rispedire dritti dritti su qualche social da una manciata di seguaci e gettarci su tutto il proprio insuccesso. Se solo potrebbe bannarvi, ma tranquilli che crereranno anche quella funzione, dal tasto “mi rifiuto di pubblicare questa idiozia”. Sapete davvero cos’è la fame o pensate che i bimbi africani siano fotomontaggi, mentre raccolgono l’ultimo chicco di riso da terra, mangiando pure quella? Loro non usano il pc per lamentarsi del lievito perché non sanno cosa sia e soprattutto un pc non ce l’hanno. Eppure come sorridono? Voi ricordate l’ultima volta che avete sorriso, senza che fosse davanti ad una vetrina o un regalo desiderato? Beh, spiacenti ma quella forma di felicità è del tutto materiale e priva di sentimento. E sono sempre dell’idea che chi si lamenta, non è poi così messo male, al contrario invece di chi non ha voce per farlo e ne avrebbe il bisogno. Siamo sempre gli stessi che fatichiamo a ricordare dove va messo il verbo, l’accento che scappa di mano, al contrario delle parolacce, complici fedeli che sbucano in ogni dove. E perché è così importante sapere la grammatica ed essere educati? Non vorrai mica fare la maestrina, tu che possiedi il tesserino dell’albo dei giornalisti? No, macché, non rendiamoci ridicoli, nessuno qui vuole misurarsi con l’altro e l’acca non sarà mica importante, ma vedi testina, tantomeno sapere cos’ha fatto nel passato per noi l’America per noi, o ancora, da cosa si scatena un qualunque virus. Ormai si crede a qualsiasi fonte di informazione, specie se il titolo è forte più della foto e la gente, beh la gente ci crede perché ha bisogno di scoop, oltre che ad un sostegno psicologico da stress post traumatico. Però una cosa è certa e mi fa riflettere: un popolo ignorante, che non conosce la sua storia, non può andare troppo lontano e sarà così più facile da gestire.  Il passato ci insegna e la cultura la fa da padrona e non ci sono tatuaggi o supponenti che tengano. Con questi social, ci si sente più armati di un soldato e quando si sceglie di attaccare, ecco che anche la persona più dotta (quella che in gergo si dice “aver mangiato uno Zanichelli”, che non è un cibo), viene schernita dalla maggioranza, chiaramente priva di conoscenza. In un momento epico, che verrà stampato sui prossimi libri di storia, l’inciviltà è destinata a prendere il sopravvento, così come la superbia si ostinerà ad assumere  sempre più atteggiamenti raffinati, celati da una tenda trasparente da cui poi, si vede tutto.

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