Correva l’ultimo mese del 2004

Il 4 febbraio di quell’anno, Facebook rivoluzionava i social network, con un concetto filosofico che un giovane studente di Harvard ha saputo trasformare. Il 9 novembre, Mozilla lanciava il browser Firefox, in grado di funzionare più stabilmente e con un’interfaccia più lineare. Così, la “volpe” di fuoco, conquistava il web e lancia nuove sfide. Il 26 dicembre dello stesso ’04, l’Indonesia veniva sconvolta dallo tsunami, con danni devastanti. Uno stravolgimento completo, per la terza isola più grande dell’arcipelago indonesiano, meta principale di tanti turisti. Ma cosa accadde tra il 9 novembre e l’ultimo fatto riportato? Giovedì 23 dicembre, nell’antivigilia di una sala operatoria, nasceva Benedetta Regolo. Costei, chi è? Una bimba bella e paffutella, desiderata dal primo avvento come “cellula”. Bene, sull’almanacco ufficiale degli episodi più influenti, dovrebbero annotarlo.

 


 

Una ragazza speciale, Benedetta. Ok, ora che le ho digitato il nome per intero, proseguirò citandolo con il suo abbreviativo preferito: Betty. La sua è una storia fuori dal comune, di quelle che si vedono spesso nei film e che mai si immaginano essere così vicine a noi, come della porta accanto. Eppure è proprio dai libri, dai racconti reali che i registi ci cuciono sopra le trame e le sceneggiature. Betty, sotto il segno del Capricorno, rispecchia in toto uno degli elementi cardine, la ‘Terra’: predilige la strada più certa, lei che nel suo percorso, ha come camminato sulle sabbie mobili. Lei, dal culto smisurato per i suoi ideali, spera che presto ci sarà un giorno migliore e per ottenere risultati soddisfacenti, ci si butta a capofitto, difendendo i suoi ideali con denti e unghie. Ecco cosa dovrebbero elaborare di lei su Wikipedia. Beh sì, potrebbero anche aggiungere che adora fare i ‘Tik Tok’, diventandone l’insegnante assoluta, ma per ora s’impegna a fare l’alunna in un valido istituto alberghiero.

“Guarda un po’ qui, Vivy” e dal cellulare, appariva una foto golosa di una produzione culinaria ideata da lei che, se si ingrandiva, si sentiva perfino il profumo. Talmente ingombrante che fatìcava a scaricarsi. “Sei proprio in gamba, hai scelto l’indirizzo su misura per te”, digitavo in tempo (quasi) reale. Io glielo ricordo spesso, alla “sis”(da sister): le “secche” sono meno simpatiche di noi tonde (mi ci butto dentro anche io in questo club “morbido”). “Dovrei dimagrire, infatti sto impegnandomi con una dieta equilibrata, però sai, in questo settore, è un’impresa”, mi confidava in video chiamata; “ti dai da fare e come me, non sai stare ferma e poi, lo stress ti consuma”, le riportavo schiettamente. La schiettezza è una delle fondamenta del nostro rapporto e, ahinoi, può aver ferito entrambe. “Ce la puoi fare, un pizzico di coraggio e via”, la sollecitavo con un messaggio, dopo uno dei suoi lamenti, in fatto di mandare o no a quel paese, l’ennesimo inciucio amoroso. Un dolore nettamente inferiore, rispetto a quello provato da lei in tutti questi anni, lontana da casa, dai suoi affetti sinceri, da sua sorella. 

Ma chi è sua sorella? “Sono io”, si legge. Immagino la smorfia del lettore che teme di aver appena scoperto di avere una sorella segreta. “Ma no, io, l’autrice di questo articolo”. 

Ho mantenuto una certa suspense per rendere ancor più accattivante la lettura.

Betty soffriva spesso il distacco e si affezionava, con uno schiocco di dita, alla prima persona che incrociava sul suo percorso, in questo caso, sul pullman. Lì, i bimbi venivano accompagnati dai genitori, con un bacio e un risolino, ma lei questa normalità non l’ha mai assaporata: “dimostra di saper fare altro, oltre che mangiucchiarti le dita”, provocavano le maestre, in un momento di difficoltà. Ma la sua testa, inevitabilmente, volava fuori dalla classe, dove immaginava la mamma al suono della campanella. Betty, dall’età di otto anni, risiede in una comunità educativa. Ma che dico, ne ha cambiata più di una, purtroppo. Il luogo che scelgono, non è come un vestito che si prova e si porta fieramente in cassa, piuttosto è una soluzione che cerca di avvicinarsi il più possibile all’esigenze del minore. Ma anche in questo caso, non può durare nel tempo, visto che anche l’abito acquistato, dopo la crescita, diventa stretto. “Cambiano i bisogni e cambio io”, esprimeva amareggiata durante uno dei suoi rientri in famiglia. “E’ vero Betty, il tuo percorso sembra non avere fine perché lungo e difficoltoso, ma pensa a quel che di buono stai imparando”, rincuoravamo inforchettando le tagliatelle al sugo della mamma. “Con pazienza e umiltà, arriverai dove vorrai tu”, le dicevo allungando la mano verso la miriade di biglietti scritti per me. In particolare, mi fermavo su uno che recitava: “alla mia sorellona giornalista, brava, che parla tanto e mi fa sempre le sorprese”, leggevo commossa. “Tu credici e senza calpestare nessuno, ce la farai”, concludevo solenne a quell’imbambolamento, rivolto a sua volta alla fanciulla che omaggiava il suo esempio. Mi si appendeva addosso come le signore alle prese con i panni inzuppati d’acqua e li arrancano sul filo: doveva constatare che la sua iniziale, incisa sulla mia spalla destra, fosse sempre lì, senza volare visto che era tracciata con la forma di una farfalla. “E’ lì e ci sarà per sempre, come noi due”, una garanzia che le affidavo, guardandola dritta negli occhi per poterle infondere quella sicurezza che le mancava. Alla “sis” non ci si voltava mai dall’altra parte, i suoi occhi sapevano parlare e potevi sentirli anche nel silenzio surreale: le volte in cui la si andava a trovare nel monzese, si faceva il pieno di benzina e affetto, anche se gli incontri sarebbero stati monitorati dall’orologio severo degli educatori. “Ti raccomando, Benedetta, 18:20 qui da noi”, ammoniva una nuova arrivata che non aveva ancora letto la sua storia, nel faldone. Ma le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue ansie, i suoi sogni, non potevano essere captati da un registro freddo, di una segreteria asettica. In quell’arco temporale, Betty se la rideva e raccontava con mamma e papà, non ultima sua sorella che per quelle date speciali, non c’era per nessun altro. “Lo vuoi lo zucchero filato?”, le chiedevo quando con il suo mento non arrivava nemmeno allo stand, “Sìììì, gazie Viana”, emetteva la sua piccola voce. I codini, mamma, glieli rifaceva di rito, come per sottolineare la sua presenza certa, ed era bellissimo osservarle nella piazza gremita di famiglie, ignare che la nostra si riuniva solo in certe occasioni. “Palloncino?”, “Sìì, l’alta votta è coppiato!”, rispondeva euforica davanti al clown tinto a festa e la manina poteva acchiapparlo e farlo suo. Oggi, da madre, comprendo che quelli non erano vizi, ma manifestazioni d’amore, consegnate in tempi precisi. L’altra considerazione va a mia mamma, forte perché senza alternative, che nei suoi fazzoletti ha gettato la frustrazione che solo chi mette al mondo un figlio può provare, nell’ inattuabilità di potersi godere la secondogenita, ma solo nei fine settimana. 

Prima di continuare, provate a immedesimarvi,... andreste in apnea totale.

Nei lunghi viaggi di ritorno, le nostre teste, cadevano inevitabilmente sul cellulare, a scorgere ancora una foto insieme, dopo quel saluto appiccicato al finestrino, che sembrava non finire mai. Come nei film, ma senza colonna sonora, che lasciava e lascia tuttora il posto al nodo in gola, dove invece dovrebbe essere seduta Betty. Spesso, giocando, le imitavo le sue “edu” e lei, faceva vibrare le sue risate per tutto l’atrio. A distanza, è la stessa voce, a condurla ad microfono acceso, consentendole di fare saggi da pelle d’oca. Non ultimo, quello del Natale scorso: “Vivy, la comunità mi da la possibilità di invitare pochi intimi. Venite?”, e tirando una riga a matita, sulla data già impegnata in agenda, (l’evento era ‘Un altro giorno di vomito’), andavamo da lei, quella sera, nel giorno del suo 15mo compleanno. In terza fila, c’eravamo noi quattro: io, suo cognato (mio marito), l’onnipresente nonna materna e la sua futura nipotina, nei suoi dieci centimetri. Fiumi di lacrime per quella performance da brivido! Non erano gli ormoni, ma la consapevolezza che mia sorella stava crescendo, conservando semplicità e dolcezza. Da lontano, le lanciavo uno sguardo compiaciuto e lei poteva sorridere a quei due cerchi da panda che mi erano usciti. “Ma stai piangendo?”, mi chiedeva attonita una giovane operatrice, “no, figurati, ho l’allergia al polline”, giustificavo arricciando il naso. Sì, come no, allergia in pieno inverno, senza fiori attorno. Che ne sapeva lei dei sentimenti: per loro l’importante era darle un tetto dove dormire e un cazziatone dietro l’angolo da usare senza voler sentire il perché di una marachella. Domande spesso inopportune, a cui noi, specie nostra madre, era esposta. “Fai come Dante, mamy, guarda e passa, tu sei superiore”, le bisbigliavo in un abbraccio.

Alla lunga, dopo quasi nove anni, ci è venuto il callo, alla mamma pure le stigmate, come per un artigiano con le sue creazioni. Sono dolorose, bruciano, rendendoti anche inerme, come davanti ad una sentenza. Ci si aggrappa alla speranza e alla fede, la salvezza per molti. E col “credo” universale, le paure si affievoliscono, dando vita ai miracoli. 

E tu, Betty, “sis”, sei il nostro, venuto alla luce sedici anni fa.

 

 


 

 

 


Nella stessa posa, per il suo dodicesimo compleanno e al mio matrimonio, come a dire “unite, ce la faremo, sempre!”.

Che il tuo treno sia sempre in orario, per non farti prendere freddo. Che il tuo caffè sia sempre caldo, per scaldarti il cuore. Che la tua amica sia sempre sincera, per non farti versare lacrime. Che tu abbia sempre la mascherina, per proteggere la tua salute. Che il tuo portafogli sia pieno a sufficienza per quel che vuoi comprare, senza che tu ricorra a collette imbarazzanti. Che il tuo cellulare sia sempre carico, per ricevere le chiamate dei tuoi cari. Che la tua canzone preferita, te la dedichino alla tua festa, cosicché tu possa ballare a tutto volume. Che la tua chioma meravigliosa, sia baciata, un giorno, dal principe azzurro. Ma ora, fattela tirare un po’ da tua nipote, per sedici volte: è il tuo compleanno!

 

                                                                                                                                I più sentiti auguri!

La tua sis, ieri, oggi, domani

 

In foto, potete evidenziare il suo stupore:

la fierezza accanto a un micetto tirato in salvo dalla divisa,

la sua contentezza sul bagnasciuga, con la sabbia che ritraeva disegni sulla sua schiena minuta

il suo apprezzamento verso le vetrofanie che la mamma attaccava alle finestre, sotto Natale e dopo, con i suoi di schizzi, ai tempi dell’asilo.

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